Porrajoms (dal romanès ‘divoramento’) è il termine più utilizzato nel mondo per definire la persecuzione razziale contro Rom e Sinti attuata dai nazifascisti in Europa fra il 1934 e il 1945. La parola è stata introdotta molto recentemente (a conferma di un genocidio dimenticato per mezzo secolo), a metà degli anni Novanta dallo studioso e attivista Rom Ian Hancock, di famiglia Romanichals. In lingua romanes ci sono diversi termini per indicare il genocidio Rom perpetrato dai nazisti, a seconda delle comunità Rom e delle varianti linguistiche: “Samudaripe(n)”,“Phar(r)aj(i)mos”, “Por(r)ajmos”. “Samudaripe(n)” significa “tutti morti” ed è più simile alla parola ebraica Shoah” (“distruzione”). “Phar(r)aj(i)mos” e “Por(r)ajmos” significano “il grande divoramento”.
Il Porrajmos in Italia indica la persecuzione subita dalle minoranze sinte e rom durante il fascismo. Gli studi su questa pagina di storia italiana risalgono appena all’ultimo decennio ed il progetto Memors è la prima ricerca organica su questa tematica (porrajmos.it). A partire dagli Anni Venti, la politica fascista si è progressivamente radicalizzata delineando quattro periodi di riferimento: 1922-1938: i respingimenti e l’allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano; 1938-1940: gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine ed il loro confino in Sardegna; 1940-1943: l’ordine di arresto di tutti i rom e sinti (di cittadinanza straniera o italiana) e la creazione di specifici campi di concentramento fascisti a loro riservati sul territorio italiano; 1943-1945: l’arresto di sinti e rom (di cittadinanza straniera o italiana) da parte della Repubblica Sociale Italiana e la deportazione verso i campi di concentramento nazisti. L’intero percorso verso la persecuzione di rom e sinti in Italia è stato supportato dagli studi di docenti universitari, tra i quali Guido Landra, che elaborarono e diffusero i concetti relativi alla pericolosità razziale di queste minoranze linguistiche.
Secondo Ian Hancock “per la maggior parte di loro il genocidio subito non è visto come qualcosa di specifico e centrale, seppur descritto come terribile, rispetto alle altre esperienze di odio vissuto sulla propria pelle all’interno della loro storia europea” [1] (vedi anche Antiziganismo, Pogrom)
è zingaro chi ha fra i nonni tre zingari puri
è mezzo –zingaro di primo grado chi ha fra i nonni meno di tre zingari puri
è mezzo zingaro di secondo grado chi ha fra i nonni almeno due mezzi zingari di primo grado
in tutti gli altri casi si ha un non zingaro.
Benchè in un primo tempo si fosse pensato di mettere gli zinagri ‘puri ‘ in una riserva, alla fine furono tutti annientati. Anche in Italia i Rom furono internati.
Un’indicazione della mancanza di interesse su questi argomenti è l’assenza di dati precisi sui Rom morti sotto il nazismo. Gli attivisti Rom indicano una cifra tra 500.000 e 1,5 milioni di morti, altre stime più modeste danno una cifra di 100.000 [1]. Se queste stime sono corrette e un milione di Rom è stato sterminato durante la “soluzione finale”, questo vorrebbe dire che la metà di tutta la popolazione Rom e Sinta in Europa in quel periodo fu sterminata. Ma non un solo rom o sinto fu chiamato a testimoniare in favore del suo popolo al processo di Norimberga, nè i Rom hanno avuto diritto al risarcimento per quello che hanno subito.
In Germania:
A partire dal 1933, iniziarono a essere eliminati i diritti civili dei rom e dei sinti, visti come “criminali abituali e devianti sociali” [2]. L’idea alla base del genocidio Rom era quella di evitare la “contaminazione della pura razza ariana” con sangue straniero. I Rom e i Sinti erano visti dai nazisti come stranieri in Europa perchè di origine asiatica e come “parassiti” o subumani”. Vi fu un’escalation di atti amministrativi in tal senso fino allo sterminio nei campi di concentramento. Nel 1933 fu introdotta una legge per legalizzare la sterilizzazione eugenetica mediante iniezione o castrazione. Nel 1934 due leggi emanate a Norimberga proibirono i matrimoni misti fra tedeschi ed ebrei, neri e “zingari”. La fobia anti rom e sinti diventò transnazionale quando l’Interpol istituì il “Centro Internazionale di Lotta contro la minaccia zingara”, ex “Ufficio degli affari zingari”. Furono citati come “vagabondi” in una circolare del 14 dicembre 1937 e quindi annoverati tra gli “asociali”.
Nel marzo del 1938 ai rom e sinti era proibito il voto. La prima dichiarazione pubblica ufficiale in cui fu fatto riferimento alla soluzione finale della “questione zingara” (endgültige Lösung der Zigeunerfrage) fu espresso da Himmler, che nello stesso anno ordinò di spostare l’Ufficio degli “affari zingari” da Monaco a Berlino, centralizzandolo.
Tra il 12 e il 18 giugno 1938 ci fu “la settimana dell’epurazione zingara” (Zigeuneraufräumingswoche), con centinaia di rom e sinti in tutta la Germania e l’Austria che furono arrestati e incarcerati. Dopo il 4 settembre ai bambini rom e sinti era proibito frequentare la scuola. Le persone rom e sinte dovevano essere incarcerate in base al fatto di costituire una minaccia intrinseca in relazione al “corredo genetico” che li rendeva potenzialmente un pericolo per la sicurezza ariana, vale a dire che potevano essere arrestati a prescindere dal fatto di aver commesso o meno azioni criminali. Entro la fine di quell’anno, grandi retate dei rom erano già iniziate. A Buchenwald, fu istituito un campospeciale per i rom e sinti “puri”, ma comunque rom e sinti furono continuativamente incarcerati nei campi nazisti e nei territori controllati in tutta Europa. Gli individui furono classificati in base alla percentuale di antenati rom e sinti avuti: se due degli otto bisnonni erano rom e sinti, l’individuo era di “sangue zingaro” e non poteva proseguire a vivere. Donne rom sposate con non rom e bambini di età superiore ai 13 anni furono inviati a Dusseldorf-Lierenfeld per essere sterilizzati. Cinquemila rom e sinti tedeschi furono concentrati nella “sezione zingari” del campo di concentramento di Lodz.
Nel dicembre 1939 Hitler emanò un nuovo decreto, vietando a tutti “gli zingari e semi-zingari” che non si trovassero già nei campi, di trasferirsi al di fuori delle loro aree, e successivamente altri treni furono organizzati per il trasporto verso est “pieni di zingari.”
La prima azione legata direttamente al genocidio ha avuto luogo nel gennaio o febbraio 1940, quando 250 bambini rom nel campo di concentramento di Buchenwald furono usati come cavie per testare il gas Zyklon B, poi utilizzato per gli omicidi di massa ad Auschwitz-Birkenau. In questo anno, gli statistici nazisti Wetzel e Hecht stimarono che “100.000 zingari e più” erano stati previsti per la deportazione in Polonia, e furono effettivamente deportati tra il 15 e il 18 maggio.
Il 2 agosto 1944 le truppe sovietiche liberarono Auschwitz. La “sezione Rom” del campo era stata smantellata e in una notte vennero gasati ad Auschwitz-Birkenau 2897 rom nel forno crematorio numero 5. Quella strage, denominata Zigeunernacht, la notte degli zingari, segna nella storia il giorno della memoria del popolo rom. “La strage è stata totalmente rimossa dalla storia: lo si vede dai libri di scuola, dal fatto che nonostante sia riconosciuta dallo Stato italiano, non è inserita tra gli eventi da ricordare nel giorno della memoria”, commenta Alessandra Landi, dell’Associazione Sucar Drom. Eppure, secondo le stime, la metà della popolazione rom dell’epoca è stata sterminata da quella che fu una pulizia etnica, concepita solo su base razziale.
In Italia
Il Porrajmos in Italia inizia l’8 giugno 1938, data in cui il Ministero degli Interni italiano, con una circolare diramata a tutte le prefetture, stabilì l’istituzione di campi di concentramento destinati a persone italiane o straniere ritenute asociali dalle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico. Che le deportazioni siano iniziate anche prima della guerra è provato da alcuni atti e testimonianze, come una comunicazione della Questura di Fiume in cui si legge: “La famiglia di Hudorovich Giovanni di Giorgio, nel 1938, fu internata in Sardegna in seguito ai noti provvedimenti di rastrellamento degli Zingari”. [3]
I campi in cui in Italia è documentato l’internamento dei Rom e dei Sinti durante il fascismo sono:[4]
Sardegna: Lula, Urzulei, Bertigali, Ovadda, Talana, Loceri, Nurri, Posada, Laccru, Padria, Martis, Chiaramonti, Illorais, Perdasdefogu.
Calabria: Ferramonti di Tarsia (Cosenza)
Puglia: Isole Tremiti
Molise: Agnone (Isernia) e Boiano (Campobasso)
Abruzzo: Tossicia e Torino di Sangro
Umbria: Colfiorito
Emilia Romagna: Prignano sulla Secchia (Modena) e Berra (Ferrara)
Piemonte: Novi Ligure
Trentino Alto Adige: Bolzano
Friuli Venezia Giulia: Gonars (Udine)
La pedagogista Mirella Karpati, in un vecchio numero della rivista Lacio Drom (1984) riportava alcune testimonianze dai campi di concentramento italiani per Rom e Sinti.
“Durante la guerra eravamo in un campo di concentramento a Perdazdefogu. C’era una fame terribile. Un giorno non so come, una gallina si è infilata nel campo. Mi sono gettata sopra, come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata cruda dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi sono presa sei mesi di prigione per furto. Quando è finita la guerra sono tornata a Treste per cercare i miei. Mio fratello e mia cognata li avevano ammazzati. Mi hanno raccontato che li avevano appesi ai ganci di una teleferica e gli sparavano come a un bersaglio. Poi li hanno gettati in una foiba”. Mitzi Herzemberg
“In Italia siamo stati in un campo di concentramento anche noi. Quasi senza mangiare. Io ero a Campobasso con la mia famiglia…Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pittore e molto intelligente. Non lo abbiamo trovato più… Eravamo da tanti anni qui in Italia e ci hanno presi e rinchiusi per paura che siamo spie”. Zlato Bruno Levak (Campo di Agnone)
“Mia sorella fu rinchiusa nel campo di concentramento di Bolzano. La mia Edvige così piena di fuoco e di gioia di vivere. Aveva vent’anni e ben presto quel campo si trasformò nella sua tomba. Maledetta guerra! Ho sempre nel cuore l’immagine di mia sorella, rinchiusa dietro i reticolati”. Vittorio Mayer Pasquale.
Altre tracce si trovano sul sito della Fondazione Romanì in uno scritto del ricecatore Luca Bravi che ha ricostruito alcuni elenchi di nomi. Ad esempio nel campo di Prignano sulla Secchia (MO), i cognomi riportati all’interno delle schede anagrafiche rintracciate nell’archivio comunale risalgono proprio agli anni della prigionia e sono “italianissimi”: Argan, Bonora, Bianchi, Colombo, De Barre, Esposti, Franchi, Innocenti, Marciano, Relandini, Suffer, Torre, Triberti, Truzzi. Giacomo Gnugo de Bar (nato durante il periodo di internamento a Prignano) racconta quanto gli è stato narrato dai propri genitori:
“Era autunno e la mia famiglia s’era appena fermata al Bacino di Modena per fare la sosta dopo la stagione delle fiere. Un mattino che piovigginava, molto presto hanno sentito bussare alle carovane, si sono svegliati e hanno visto le carovane circondate da militari, carabinieri, questura. Piantonarono (i militari e i carabinieri) tutto il giorno e la notte intera, prendendo il nome e il cognome a tutti, poi il mattino seguente, condussero tutti quanti nel campo di concentramento di Prignano e ci portarono via tutti i muli e i cavalli che avevamo. A Prignano c’era il filo spinato e qualche baracca, poche perché noi avevamo le nostre carovane. Tutto era controllato da carabinieri e militari che nei primi giorni non ci facevano mai uscire. Le guardie, due volte al giorno, facevano l’appello e il contro appello. C’erano dei turni di un’ora e mezza in cui le donne potevano andare al paese a fare la spesa “(P. Trevisan, 2005).
In Italia l’ordine decisivo per l’internamento di rom e sinti fu “un importante giro di vite a livello culturale” secondo quanto scrive Bravi. “Fino ad allora si allontanavano dal regno gli “zingari” stranieri, da quell’ordine prendeva corpo e riconoscimento istituzionale una categoria totalizzante: se si era “zingari” non si era percepiti come cittadini del regno; in pratica la legislazione si allineava al già diffuso sentore popolare che considerava lo “zingaro” uno straniero pericoloso, anche in presenza di documenti che ne accertavano la cittadinanza italiana (L. Bravi, 2007)”.
Apartire dagli anni Venti, la politica fascista si è progressivamente radicalizzata delineando quattro periodi di riferimento:
1922-1938, i respingimenti e l’allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano;
1938-1940, gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine ed il loro confino in Sardegna;
1940-1943, l’ordine di arresto di tutti i rom e sinti (di cittadinanza straniera o italiana) e la creazione di specifici campi di concentramento fascisti a loro riservati sul territorio italiano;
1943-1945, l’arresto di sinti e rom (di cittadinanza straniera o italiana) da parte della Repubblica Sociale Italiana e la deportazione verso i campi di concentramento nazisti.
La persecuzione di rom e sinti in Italia fu supportata dalle teorie di “pericolosità della razza zingara” di docenti universitari, tra i quali Guido Landra.
In Francia:
Sono note le leggi discriminatorie del regime di Vichy, durante il quale 20.000 Rom furono internati nei campi francesi dai poliziotti francesi fino al 1946, un anno dopo la fine della guerra.
[1] Waringo K., Note a margine per una Storia dell’Olocausto, in Index on Censorship 2/2005
[2] Hancock I, Il Porrajmos– prolusione Giornata della memoria, 27 gennaio 2013 Teatro Bibiena Mantova
[3] Riportato in: Karpati M., La politica fascista verso gli zingari in Italia, in Lacio Drom n.2/3 1984
[4] Da porrajmos.it
L’olocausto dimenticato
(Tg Abruzzo 25 ottobre 2012)
Anche l’abruzzese Santino Spinelli tra i protagonisti a Berlino della cerimonia in memoria degli oltre 500mila Sinti e Rom sterminati dai nazisti. Il servizio da Berlino
Santino Spinelli: è importante questo momento soprattutti perchè dopo quasi 70 anni si ricorda il Porrajmos, l’Olocausto dei Rom, che significa il divoramento di oltre 500mila Rom e Sinti senza che questo sia passato sui libri di storia […]