Lo stereotipo secondo cui tutti i rom sfruttano i minori trova la sua espressione più forte nella figura del bambino che ruba, ad esempio come borseggiatore sui mezzi pubblici.
Il libro “Bambini ladri – tutta la verità sulla vita dei piccoli rom, tra degrado e indifferenza” di Luca Cefisi, ex consulente della Presidenza del Consiglio esamina la “condanna collettiva” che colpisce i rom, visti dalla società maggioritaria come “incessantemente dediti al furto e allo sfruttamento dei loro figli”.[1]
Per reazione al rifiuto esterno (leggi anche antiziganismo e discriminazione, pogrom), questa comunità si rifugia nella famiglia, che è la risorsa contro il resto del mondo. Non si può generalizzare, ogni famiglia è diversa. Quello che emerge è che l’isolamento delle comunità rom segregate nei campi conserva la vecchia mentalità. I rom e sinti italiani, ad esempio, non usano più i minori per attività non legali. Nei quartieri ghetto, come in Calabria, è la criminalità italiana a reclutarli.
Nei campi rom esiste ancora l’uso dei minori in attività di acquisizione del reddito per la famiglia. Un esempio è chiedere l’elemosina, il ‘mangèl’.Ma esistono differenze: c’è chi lo fa per necessità materiali estreme e vive come una vergogna l’impiego dei bambini, ma ci sono anche i casi in cui lo sfruttamento può essere fermato solo dall’intervento della polizia. La scuola da sola non basta. E’ solo quando i genitori trovano un lavoro più stabile che certi comportamenti si interrompono. Scuola, casa e lavoro devono andare insieme.
Sicuramente la mendicità (vedi anche mendicante) è "un ambito ad alta tensione fra rom e gagé - scrive Leonardo Piasere - Sappiamo che la lotta contro la mendicità è andata crescendo man mano che si instaurava la legge del mercato e avanzava l'industrializzazione, e sappiamo anche che i rom, ovunque in Europa, hanno sempre "resistito" contro le leggi antimendicità".[2]
Lo studioso riferisce che quando una comunità rom si arricchisce questa pratica viene abbandonata, "il che significa che la mendicità è senz'altro legata alle condizioni economiche delle famiglie".
Da un punto di vista culturale, specifica Piasere, "non viene considerata una vergogna". In romanes mendicare si dice "chiedere", ma sotto questo concetto di "richiesta" i rom fanno rientrare qualsiasi rapporto commerciale, per cui "mendicare e vendere porta a porta in molti dialetti romanes è sempre 'chiedere'. "La mendicità è così malvista dai gagé poiché è un dono fatto su richiesta (a volte pressante)". [3]
[1] L. Cefisi, Bambini Ladri. Tutta la verità sulla vita dei piccoli Rom tra degrado e indifferenza, Newton Compton Editori, Roma 2011
[2] L. Piasere, I rom d’Europa. Una storia moderna, Editori Laterza, 2009
[3] Ibidem
Anche in questo caso non si può generalizzare. Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima l’emergena nomadi decretata dal precedente governo perché non che non c’è effettivo “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom.
Come poteva essere per i baraccati italiani degli anni Sessanta raccontati da Pier Paolo Pasolini, la mancanza di istruzione e di accesso al mondo del lavoro, reso più difficile dai pregiudizi, sono le cause della devianza. La minoranza rom in Italia è tra le più emarginate d’Europa. In molti altri Paesi europei non è raro avere dei rom laureati. Al contrario, nel nostro Paese, sono molti i minori rom che hanno avuto problemi con la giustizia. Una ricerca dell’associazione Geordie Onlus diche che nel 2006 sono stati 2384 i minori non rom passati dai Centri di giustizia minorile nelle regioni centrali italiane e 1434 i minori rom, percentuale alta rispetto al numero assoluto dei rom sul resto della popolazione. “Un altro dato significativo – scrive Cefisi nel suo libro – è che i ragazzi rom rimangono di più in carcere, al contrario della vox populi che li vuole impuniti”. Il motivo: chi non ha casa e denaro non ha una buona difesa legale, né ottiene le misure alternative al carcere.
Negli esempi in basso riportiamo il caso di un reportage pubblicato in copertina da un settimanale nazionale con il titolo "Nati per rubare", un titolo lombrosiano che sembra associare il furto a una caratteristica quasi genetica dei piccoli rom. L'articolo viene pubblicato in collegamento con la campagna dell'allora ministo dell'Interno leghista Roberto Maroni per il fotosegnalamento e il rilevamento delle impronte digitali dei bambini rom. Misura alla quale si oppose il prefetto di Roma Carlo Mosca, che per questo fu sostituito, e che è stata condannata dal Parlamento europeo e anche dai tribunali italiani come pratica discriminatoria (vedi Schedatura/Censimento)
Come sottolinea anche l'indagine della Commissione Diritti Umani del Senato pubblicata nel febbraio 2011, la questione della criminalità di questa minoranza è solitamente interpretata in due modi opposti, ma entrambi ideologici e superficiali. "Il primo rimuove il problema attribuendolo a pregiudizi o a mancanza di alternative, il secondo considera i comportamenti illegali “connaturati” a questa minoranza -si legge nel rapporto -A costruire l'immagine negativa contribuisce anche l'accattonaggio, specie se affidato a minori o a donne molto anziane. E su questo ultimo problema si è fatto poco, perché reprimerlo non basta, se non si indica quali alternative reali di ottenere un reddito da lavoro sono offerte ai rom. Questa minoranza è intrappolata nel circolo vizioso della cosiddetta “discriminazione statistica”: “siccome pare che in quella comunità ci sia più devianza, non mi fido e non do lavoro”. Quindi gli individui di quella minoranza non hanno vie di uscita e ripiombano in comportamenti, come l'accattonaggio, fastidiosi per la maggioranza o, peggio ancora, si procurano reddito con atti delittuosi di varia gravità che rinforzano il pregiudizio statistico".[1]
Sullo stereotipo dei "rom ladri" leggi anche "Il codice dei rom per rubare" all'interno della voce Rom.
[1] Senato della Repubblica, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Sintesi del rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia
NATI per rubare
Ladri bambini -Appena vengono al mondo li addestrano ai furti , agli scippi, all'accattonaggio e se non ubbidiscono sono botte e violenze. Ecco la vita di strada dei piccoli rom che il Ministro Maroni vuole censire, anche con le impronte digitali.
(copertina)
Storie di vita di un baby ladro
(settimanale nazionale,8 luglio 2008)
Forse è colpa dell’immobile meriggio estivo. Ma a mezzogiorno di lunedì 30 giugno, quando i poliziotti gli hanno preso le impronte digitali, nessuno ha protestato. Né lui si è stupito. Gli agenti della Polfer lo hanno pizzicato mentre insieme con un amico “curava” lo zaino di una turista giapponese dentro la “tonnara”. Così gli investigatori hanno ribattezzato lo stretto passaggio che collega l’uscita della stazione Centrale di Milano con gli autobus per gli aeroporti, dove i piccoli rom vanno a caccia di stranieri da derubare. Dei genitori non c’era nemmeno l’ombra, anche se Vali, romeno di Craiova, ha solo 12 anni, o forse 13, perché neppure lui probabilmente conosce la data del suo compleanno. Il ragazzo, viso appuntito e capelli scalati sui lati, ha aspettato in silenzio che in questura facessero la comparazione, poi il terminale ha sputato fuori i precedenti: negli ultimi 5 anni è stato sottoposto a 34 segnalazioni fotodattiloscopiche (scatto del viso e impronte), la prima quando aveva 8 anni, e ha dichiarato altrettanti alias, nomi e date di nascita sempre diversi. Il curriculum è quello di un ladro esperto che colpisce tra Milano e Venezia, ma non disdegna puntate fuori dalla sua riserva di caccia, per esempio a Ventimiglia. Nell’agosto 2006 è stato denunciato dai carabinieri per “sequestro di persona a scopo sessuale”. All’epoca aveva 10 o 11 anni. Infatti le radiografie delle ossa che gli hanno fatto in passato hanno stabilito che Vali, o Valli oppure Florin, è nato nel 1995. Adesso, grazie alle impronte non finisce più sotto i raggi x, gli basta appoggiare i polpastrelli sull’inchiostro per farsi riconoscere ed essere lasciato libero, visto che non è imputabile per la legge italiana, avendo meno di 14 anni. L’amico Curte, mèches bionde, occhi chiari, poiché ha 15 anni può essere denunciato. Pure lui ha già moltissimi alias, 26 per l’esattezza. Ha collezionato precedenti per rapina, furto, ricettazione, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. La prima fotosegnalazione l’ha subita a 12 anni. Vali e Curte, però, non sono uno spot vivente preparato dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, che nei giorni scorsi ha annunciato di voler prendere le impronte digitali ai piccoli rom, suscitando l’indignazione di chi bolla la proposta come razzista, un retaggio dell’epoca fascista. In realtà Vali e Curte sono due tra le decine di ragazzini nomadi, spesso under 14, che ogni giorno vengono fotosegnalati in caserme, commissariati e questure d’Italia, su richiesta dei pm. Una prassi consentita dalle leggi e che numerose circolari delle procure presso i tribunali per i minorenni hanno nel tempo ratificato. Il motivo? Permettere l’identificazione dei bambini che vengono sorpresi a commettere reati o abbandonati in strada a chiedere l’elemosina. Il compito delle forze dell’ordine è dare un nome o un’età a quei baby rom, per riuscire a individuarne i genitori e magari proteggerli da famiglie che li schiavizzano e a volte li vendono. A questo è servito fino a oggi il controllo delle impronte anche per i minorenni che non hanno commesso reati. E ha permesso di monitorare un mondo dove i giovani nomadi hanno una sola scuola, la strada, e lo Stato ancora troppo poca forza per salvarli. Nell’elenco dei 257 bambini di origine straniera scomparsi ancora da ricercare, stilato dalla Polizia di Stato, la maggior parte sono piccoli rom affidati ai centri di accoglienza e addestrati a fuggire il giorno stesso in cui vi entrano. “I più grandi scappano dagli istituti autonomamente, gli altri, quelli che chiedono l’elemosina, vengono spesso recuperati di nascosto dai parenti” dice Chiara Giacomantonio della sezione minorenni del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. “Questi bambini valgono oro e, dopo le prime segnalazioni, spesso vengono scambiati tra famiglie che li mandano a rubare o a chiedere soldi in zone dove non sono conosciuti”. Fenomeni che l’opinione pubblica spesso ignora e con cui invece si misurano quotidianamente le forze dell’ordine. Per esempio gli uomini della Polfer di Milano, coordinati dalla dirigente Stefania Chirosi De Bellis. Loro formano il presidio dello Stato in stazione Centrale, territorio di frontiera cittadino. Qui, negli uffici della polizia giudiziaria, guidata da Angelo Laurino, nel 2007 sono passati 280 arrestati e 2 mila denunciati. Oltre ai minorenni che sguazzano nella tonnara. Qui procedono intruppati tutti i giorni migliaia di stranieri, le vittime preferite dei ladri bambini. In particolare i giapponesi e i russi, che secondo le statistiche di questi criminali in erba sono i turisti che viaggiano con più contanti in tasca. E così il giorno dopo il fermo dei due giovani romeni anche Panorama si è immerso nella tonnara. Alle 3 del pomeriggio dell’1 luglio il viavai dei viaggiatori è fiacco e di zingarelli in giro ce ne sono pochi. “Il mese scorso bazzicava da queste parti una banda di 15-20 rom, adesso si sono spostati” informa un agente. Forse perché nel piazzale della stazione sono schierati una quindicina di uomini del reparto mobile. “I piccoli nomadi ormai ci riconoscono anche in borghese e studiano i nostri turni di lavoro” avverte un poliziotto con maglietta e faccia sfatte dal caldo. Ma dopo mezz’ora nella tonnara accade l’inevitabile. Due bionde norvegesi vengono puntate da un ragazzino magrissimo e con il marsupio nero a tracolla. Le aggancia sotto gli occhi del cronista. Ad assistere allo spettacolo ci sono pure due marescialli in borghese del gruppo del pronto impiego della Guardia di finanza che si trovano nel piazzale della stazione per un altro servizio. Il miniborseggiatore non li conosce e non si insospettisce. L’azione è fulminea. Un militare ferma il ladruncolo con le mani nella borsa di una delle due turiste. Poi, lo conduce nella sala fermati del settore operativo della Polfer. L’interrogatorio fotografa il copione che questi giovanissimi rom sfruttati mandano a memoria. Il bambino biascica un nome incomprensibile, che assomiglia a Zafil Bobo. “Sono romeno, ho 10 anni, non ho fratelli, sono in Italia da 1 anno” balbetta. Nega di conoscere la sua data di nascita. Non ha con sé il cellulare né riferisce il numero dei genitori. “Tutti accorgimenti che servono a renderli invisibili” notano i poliziotti. Zafil è spaventato, piange in silenzio, stringendo un fazzoletto, ma resiste e non permette ai militari della Guardia di finanza di risalire ai parenti. A chi gli contesta di coprire degli adulti che lo costringono a mettersi nei guai risponde abbassando lo sguardo. Sei stato fermato in passato? “La polizia mi ha preso le impronte tre volte” risponde con gli occhi spalancati. Alla Polfer confermano di averlo già visto. Cosa stavi facendo? “Volevo prendere i soldi per comprare i biglietti dell’autobus” dice senza crederci. Con il cronista confessa di aver rubato in passato. E i soldi dove sono finiti? Risposta di routine per prendersi tutte le colpe: “Mi compro i vestiti, ai miei genitori non do niente”. Il padre, è la versione ufficiale, fa il lavavetri, la madre chiede l’elemosina. I presenti questa filastrocca l’hanno sentita decine di volte. Da grande che lavoro vuoi fare? Spallucce. Vai a scuola? “Non mi piace. Non so leggere né scrivere”. Sussurra che vuole tornare a casa a giocare con la bici e la Playstation. Alza gli occhi: “Posso andare via? Prometto che non lo faccio più. Se i miei genitori non mi vedono per molto tempo, mi picchiano perché in giro ci sono i marocchini che uccidono i bambini”. I finanzieri lo portano in caserma per il fotosegnalamento disposto dal pm e per cercare i parenti. Nel campo nomadi indicato dal piccolo Zafil come domicilio, nessuno reclama lo scomparso di turno. Come sempre. A mezzanotte i marescialli, stremati, non gli hanno ancora trovato un posto in un centro di accoglienza. “Tutto pieno” rispondono dagli istituti. I genitori si guardano bene dall’andare a chiedere la restituzione del figlio. Ma anche se la notte è lunga Zafil non si scoraggia, conosce le leggi e sa che tra poche ore potrà tornare sulla sua bicicletta.
L'articolo è tratto da un settimanale nazionale che lancia così la storia in copertina: NATI per rubare Ladri bambini -Appena vengono al mondo li addestrano ai furti , agli scippi, all'accattonaggio e se non ubbidiscono sono botte e violenze. Ecco la vita di strada dei piccoli rom che il Ministro Maroni vuole censire, anche con le impronte digitali.
Si tratta di un reportage al seguito della Polfer in servizio presso la Stazione Centrale di Milano. Il giornalista segue la giornata tipo degli agenti e racconta la" storia di vita" di un ragazzino rom dalle molteplici identità. Età presunta 10 anni, nazionalità rumena , già sottoposto ben 34 volte a segnalazioni fotodattiloscopiche (foto del viso ed impronte). La copertina del settimanale nazionale in questione del 10 luglio 2008 che richiama l'articolo contenuto alle pagg 39-40-41; a caratteri cubitali annuncia l'inchiesta "NATI PER RUBARE " che ritrae un minore che si copre il viso, e che viene lanciata per argomentare l'adozione delle misure di censimento del ministro Maroni in particolare in merito al rilievo delle impronte digitali dei minori di etnia rom. (vedi anche schedatura/censimento)
Secondo l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni che a suo tempo ha esaminato il caso, "l'associazione e l'automatismo, il determinismo quasi biologico che deriva da quel "nati per rubare" richiama Cesare Lombroso e il cattivo servizio che certo giornalismo fa soprattutto a se stesso. l pregiudizio è infatti contenuto più nella copertina che nell'articolo" .
Qui in basso invece un articolo che riporta come purtroppo questi minori a volte siano vittime di sfruttamento anche a fini sessuali a opera di organizzazioni persone non rom, o gagé.
Suicida in carcere pedofilo della Roma bene
L'uomo è morto a Viterbo dove scontava una condanna per pedofilia e sfruttamento della prostituzione minorile. Tra le sue vittime bimbi rom e ragazzini delle squadre di calcio
(edizione online locale di un quotidiano nazionale, 20 marzo 2010)
VITERBO - Ha indossato uno scaldacollo, ha agganciato un'estremità alle sbarre della finestra della cella e si è lasciato cadere sul pavimento. Così, lunedì pomeriggio, tra le 17 e le 18, si è suicidato Roberto Patassini, detto «la nana», romano, 49 anni, detenuto nel carcere viterbese di Mammagialla, dove stava scontando una condanna per pedofilia e sfruttamento della prostituzione minorile. Sarebbe tornato in libertà nel 2022.....
Patassini era stato arrestato dalla polizia nell’aprile 2006 nell’ambito dell’operazione «Fiori nel fango», che portò allo smantellamento di un’organizzazione dedita alla pedofilia e allo sfruttamento della prostituzione minorile. I ragazzini, dagli 8 ai 14 anni, venivano reclutati nei campi rom di Roma o nelle squadre di calcio giovanili. Almeno 200 le vittime accertate durante l’inchiesta. Si trattava di bambini poverissimi, che venivano adescati e ’compratì con pochi soldi: una paio di scarpe firmate, un telefonino, un ricarica, un panino da McDonald’s. In alcuni casi erano i loro stessi genitori a ’venderlì per un televisore, un frigorifero, un pò di soldi. Gli ’orchì erano quasi tutti insospettabili: allenatori di squadre di calcio, commercianti, imprenditori, rappresentanti della Roma-bene. Oltre a Patassini finirono in manette altre 17 persone. L’organizzazione era ramificata in mezza Italia.